spleen days

20 settembre 2009

fioreAbbarbicato ad aspre rocce sul litorale andaluso, lontano dai grattacieli in vetracciaio delle metropoli balneari, sbattuto dai venti, macerato dal sole, corroso dal sale, sta il rifugio di daGabry – silente. Le persiane abbassate, la porta accostata, della gloriosa potenza del sole, della luce, dell’aria non penetra all’interno che un debole soffio, buono per disegnare giochi d’ombre sui muri scalcinati, per illuminare tutt’al più la frenetica danza di milioni di corpuscoli di polvere sospesi in un’aria altrimenti immota. Appoggiato al bancone, la testa presa tra le grandi mani, daGabry osserva, senza vederlo, il coltello appoggiato lì, quasi apposta, sul bordo del ripiano. Il coltello è sporco, ha tagliato del formaggio. Gorgonzola. Ne resta un’inezia appiccicata sulla lama, una punta da niente, ma sufficiente perché se ne possano intuire le venature verdi, malate, putride ed indecenti solcare la materia giallognola che già ha cominciato a trasudare, e farsi gelatinosa lungo i bordi. Una teoria lunghissima di piccolissimi ragnetti ignudi percorre le vene infette del formaggio, si spande sul legno unto del bancale, cade al suolo senza rumore, trova il gomito di daGabry e lo invade, risale il suo braccio indifferente, dilaga sulla mano e di qui sul cranio di quest’uomo grande e spossato. daGabry cerca con lo sguardo spento la sua coppa di assenzio, intinge un dito a rimestare ciò che avanza: una broda dall’insopportabile tanfo di anis, dolciastro e falso, in cui nuotano annoiati gli ultimi resti di icebergs d’altri tempi. daGabry si sente un poeta maledetto, sente piantato nel proprio cranio il nero vessillo dell’Angoscia, sente dentro di sé, intero, il male del mondo, un pozzo oscuro e senza fondo.

E oltre a tutto l’armamentario di dolore e miseria tipico d’ogni poeta maledetto che si rispetti, oltre ai pipistrelli, al buio della mente, all’agonia di infiniti giorni tutti uguali ed infinite notti, ognuna d’esse eterna, oltre a tutto questo e a molto altro ancora, daGabry porta nel suo petto amplio ma distrutto una pena sua intima, segreta ed orribile, che lo distingue dai Baudelaire, dai Verlaine, dai Guccini di tutto il mondo. daGabry non riesce a scrivere. Ha comprato due bic nere: una l’ha persa subito, l’altra scrive malissimo, tutto a pettole e intoppi, non va bene neanche per la lista della spesa, figuriamoci per degli eccelsi poemi maledetti e decadenti. Ma non è la biro, il problema, daGabry sarebbe disposto a cavarsi il sangue pur di stendere al volo questi maledetti poemi eccelsi. E decadenti. Neanche aver appoggiato per sbaglio la pentola del sugo su quel bel foglio di carta A4 che veniva proprio al caso, nemmeno questo è il problema. Il Dramma è lei: lei che se ne è andata, come sempre, senza dire addio né nulla. Lei, la maledetta Ispirazione, senza la quale non riesci a buttare giù uno straccio di rima baciata, altro che poemi eccelsi. E basterebbe così poco, anche poesiole di 10-15 righe possono andare benissimo per un buon poeta maledetto. Poi al limite muori giovane e la sistemi così.

fiore sangueInvece niente. I ghiacci dell’assenzio si sono ormai sciolti da lungo tempo, l’assenzio stesso è quasi svaporato, daGabry prende di nuovo in mano la bic nera, con gesto lento e sofferente, ben fatto. Sospira, un sospiro che è anche un singhiozzo, che è il pianto di bambini spaventati e di demoni torturati nell’inferno. Ottimo anche il sospiro. L’atmosfera è quella giusta, forse s’ode anche un’upupa regalare il suo lugubre verso, un ragno peloso osserva dall’alto; daGabry appoggia la punta della biro sul foglio macchiato d’unto e, mondocane, non gli viene proprio nulla da scrivere – nulla.

Cani impazziti latrano nel cervello di daGabry, marce funebri e carri di appestati, un letto di viole marcite, un cadavere di donna, bianco sotto la luce della luna, ancora più cani, più frastuono, un baccanale di dolore, di pianto di disperate illusioni infrante; daGabry si prende di nuovo la testa tra le grandi mani, si alza a fatica, vorrebbe urlare la propria angoscia, ma gli esce un singhiozzo, un rantolo etilico. E un ruttino. daGabry barcolla, sta per crollare, ma riesce a trascinarsi di là in qualche modo. Ha infilato la porta del bagno, riesce a mettersi sotto la doccia. Un’acqua putrida comincia a rigargli il viso e il corpo squassato dal Dolore. Un’acqua immonda, dolorosa anch’essa, comincia a lavare quest’omone, a portarsi via secoli di inumana sofferenza, e a poco a poco l’acqua si fa più chiara, e il corpo si ristora, i muri si raddrizzano, forse c’è più luce, anche il Dolore, ‘sto dolore non è che faccia poi ‘sta gran paura, in fondo. Poco più di un fastidio, ormai. Già che c’è, daGabry piglia anche lo sciampo alle erbette provenzali e si immerge in una nuvola di spuma purificatrice e anche le ascelle e il resto, che in due minuti ce lo ritroviamo fresco e pimpante, giusto un po’ stordito, ma quello fa parte del personaggio. Si infila dei bei bermuda rossi con fioroni bianchi e fischiettando Piccola Katy dei Pooh pensa: “Diobono che ciucca iersera!“. Torna in salotto tutto contento, ma affamato. Toh, su quel coltello è rimasto un tocchetto di Gorgonzola. Se lo spazzola, è buonissimo, glielo porta un amico suo carissimo di Saronno: “Devo ricordarmi di farmene portare di più, la prossima volta“. Tira su le tapparelle, ammazza quel ragnaccio con il giornale e raggiante come un bimbo daGabry si porta in terrazza, questa sua bella terrazza che dà proprio sul mare, e che mare! Così contento che, grattandosi un attimo le palle, gli viene da improvvisare una bella poesia:

Ma che bello stare al mare
a fare festa e a cantare;
ma che bello stare in Spagna
l’importante è che se magna.

Proprio bella” pensa daGabry “magari la scrivo su un cartello e la appendo nel bar“, ma già ha la testa da un’altra parte, dietro a una ricetta che aveva letto una volta per fare la seppia in umido: mandorle tritate, pepe nero, e poi? che altro? Se gli mettessi un pizzico di cilantro? Quasi quasi…

espagueti western

23 agosto 2009

Il grande capo daGabry Tonante getta un ultimo sguardo ad abbracciare intera questa prateria, che tanto gli ricorda la verde e natìa Brianza. Il grande capo abbraccia l’erba, i bisonti che ruminano lontano, il cielo e le sue nuvole, e abbraccerebbe anche altro, ma mai il panorama di queste praterie ha offerto qualcosa di diverso da erba, bisonti e cielo. E tra poco anche tutto questo farà parte del passato. L’uomo bianco è a due passi, i visi pallidi hanno mosso guerra alla sua pacifica tribù, dopo averne spazzate via altre ben più guerriere, ingoiate dalle terribili bocche sputafuoco. Il grande capo si gira su stesso e a passi lenti fa ritorno al suo villaggio. Il suo popolo lo guarda, muto, affacciato sulla soglia dei suoi thipi. Nei loro occhi vive ancora la speranza, tutta la fiducia che nutrono verso il suo potere.

Il grande capo avanza, lento, verso la sua tenda, la più grande, al centro del villaggio. Chiede di restare solo e sparisce nel suo rifugio. Domani è il grande giorno, domani l’uomo bianco attaccherà e sarà tutto finito. In un angolo buio Patatina Fumante, la sua squaw da sempre, madre di tutti i suoi figli, attende fiduciosa. Anche lei convinta che il potere infallibile di daGabry Tonante saprà sconfiggere il nemico alle porte. Ma è tutto menzogna, tutta falsa speranza. Lui, lui solo lo sa bene che è tutto un grande inganno. Non ha mai avuto nessun potere, ha coltivato la sua carriera di sciamano e grande capo sin da ragazzino, quando si era scoperto poco adatto alle grandi cavalcate (che dolore ai reni), alla caccia all’ultimo sangue (che fatica), alla guerra contro le tribù vicine (uh, che paura!). Quanto più comodo e gratificante era stato passare la vita pestando erbe dentro piccoli mortai, recitando litanìe, organizzando di quando in quando qualche bella danza della pioggia, che tanto alla fine finisce sempre che piove e tutti sono contenti. No, non aveva nessun potere reale, e credeva in Manitù quanto all’esistenza di Babbo Natale, o della Svizzera. Ma nel corso degli anni aveva saputo raccogliere la fiducia della sua gente, ne era diventato infine il capo venerato e rispettato da tutti. La sua naturale avversione per la violenza e gli sforzi non necessari avevano portato ad un lungo periodo di pace con le tribù confinanti, e tutti gliene erano riconoscenti. Ma adesso si aspettavano da lui che li portasse alla vittoria contro l’uomo bianco, i suoi cavalli ed i suoi fucili. daGabry Tonante non odiava l’uomo bianco, ma odiava la guerra che l’uomo bianco portava.

Come sempre nei momenti difficili daGabry Tonante cerca rifugio nella sua grande passione: la cucina. Vuole preparare l’ultimo banchetto per la sua gente, il migliore di tutti, una cosa mai vista prima. È l’ultimo regalo che può fare, prima della fine. Gli brillano gli occhi, mentre prende il coltello e comincia a tritare giù una cipolla, fina fina, e poi una carota, ancor più fina. Ha già messo sul fuoco la padella con l’olio, anzi due, no, son tre. Il pentolone grande in mezzo alla stanza, sta già sbuffando vapore. daGabry taglia, affetta, spella e spenna, inforna e sforna. Conigli e trote, calamaretti e crauti, sei cinghiali e una borsa di rane fritte, salse e antipastini, e il carpaccio sottile, il pinzimonio, i pizzoccheri, gli strangolapreti, sta già decorando, quattro olive, cetriolini, un filo d’aceto col miele. E i funghi? Non può certo mancare nel banchetto dell’addio finale il suo famosissimo “cocktail di funghi di mezza montagna in salsa di rugiada mattutina“. Ma non piove da mesi. Dove li trovo i funghi, dove li trovo? Ma certo! Ha di là una cassetta di funghetti strani, glieli ha portati l’altra settimana Testa di Condor, un suo carissimo amico viaggiatore di commercio. Li ha trovati al sud, vicino al Messico. Certo che son proprio bruttini; ma non importa, daGabry Tonante li arricchisce, li infiocchetta, li trifola fino a tirarne fuori una splendida macedonia di umbratile sottobosco. Fuori tutto è pronto per la grande festa, la tribù è in preda all’eccitazione per quella che pensa essere la vigilia di una grande vittoria.

Ed è con grossi lacrimoni appollaiati sui suoi zigomi di grande capo, che daGabry osserva il suo popolo tuffarsi in una festa senza precedenti, ebbro di gioia, ignaro del proprio destino già segnato. Tanto e tale è il baccano della baldoria, che giunge alle orecchie del Settimo Cavalleggeri, accampato ad un tiro di schioppo. E giunge accompagnato dagli aromi e dagli odori della cucina del gran capo, e gli vien voglia di andare a dare un’occhiata, chissà mai salti fuori qualcosa di buono; e poi la guerra è prevista per l’indomani. E allora prima i più disinibiti, e poi dopo anche tutti gli altri appoggiano i fucili e si avvicinano al villaggio a vedere “se fanno ancora entrare, se c’è figa, se si paga o è gratis“, mentre il generale dorme, da solo, nel suo letto. E la tribù li accoglie, in festa, che tanto la guerra la si farà domani, per intanto pensiamo a bere, cantare, qualcuno c’ha pure un banjo, e poi ballare, mangiare e mangiare, fino all’arrivo di un’enorme insalatiera e daGabry Tonante, solenne, annuncia la sua “Prelibata Allegoria di Finferle e Chiodini su un letto di Tramonto Messicano“. Buoni i funghetti di Testa di Condor, buoni davvero. Ed il cielo si riempie di colori mai visti, e la terra di suoni mai uditi, e il baccanale si moltiplica per cento e per mille, i corpi tremano preda dei tamburi, mentre le anime li abbandonano e si lasciano avvinghiare da un’orgiastica danza tra i fuochi, le grida, le canzoni stonate. Una notte intera, e tutto il giorno e parte della notte dopo, osservati da lontano da quattro cactus indifferenti, pellerossa e visi pallidi si fondono in un’unica multicolore girandola di strane sensazioni.

La famosa battaglia del Grande Corno Bucato non è riportata su nessun libro di storia semplicemente perché essa non ebbe luogo. Dopo tre giorni di festa, le truppe federali si sciolsero come neve al sole, molti di loro si trasferirono sulla costa Ovest e aprirono negozietti di pantaloni colorati e poi inventarono la Beat Generation. Anche la tribù di daGabry Tonante, frastornata dagli eventi, poco a poco si trasferì in città, comprarono a rate delle casette unifamiliari e si assimilarono completamente, e nessuno si ricorda più di loro.

daGabry Tonante se ne andò in Italia. Negli anni ’70 inventò gli Indiani Metropolitani, che riempirono di insulti i sindacalisti a Roma, e a Bologna i muri di graffiti. Poi, dopo qualche comparsata in qualche film in costume negli anni ’80, fece perdere le sue tracce. Ora si dice che abbia aperto un delizioso ristorantino sul mare, da qualche parte in Spagna. Qualcuno dice di averlo visto. daGabry Tonante è tornato dietro ai fornelli, felice, e in angolo Patatina Fumante lo guarda con gli stessi occhi di tanti anni prima.

le avventure di daGabrino (parte I)

17 agosto 2009

C’era una volta una donnina piccina piccina, che viveva con il suo maritino piccino piccino in una casina piccina e carina. E c’avevano pure un orto piccino piccino che dava loro da mangiare ogni giorno dell’anno. Questa donnina, cuorcontento da quand’era nata, aveva però un unico cruccio: desiderava tanto d’avere presto un bel figliuolo da crescere, e magari mandarlo a studiar da ragioniere; ma il caso era che questo maritino piccino piccino, brav’uomo per carità, passava intere le sue giornate giù in paese, all’osteria, e quando rientrava a casa la sera, per la ciucca che c’aveva addosso, non c’era verso che gli riuscisse di adempiere ai suoi doveri coniugali. E così la donnina piccina piccina la sera diceva le sue orazioni e chiedeva la grazia di un bimbo ogni volta con un filo di tristezza in più.

Una bella mattina, questa donnina piccina piccina s’alza presto come sempre e corre per prima cosa all’orto, a sbrigare quel che tocca quel giorno prima che il sole sia troppo alto. Con gran sorpresa, la donnina si accorge che proprio in mezzo a dove giusto il giorno prima ha seminato il radicchio rosso, è spuntata come per magia una bella verza. “Bella o non bella” pensa la donnina, “ma quello è il posto del radicchio, e io di nascere lì in mezzo il permesso non ce l’ho mica dato“. E fa per strappare l’inopportuno cavolo, con una stretta al cuore perchè si tratta pur sempre di una bella pianta, quando sente una vocina, e non saprebbe dire se dentro la sua testa, o da sotto la verza, o semplicemente nell’aria. Dice la vocina: “No, ferma, che non sono ancora pronta. Se mi nutrirai con i tuoi baci e le tue lacrime, vedrai che bella sorpresa grande e grossa che avrai“. La donnina borbotta tra sé e sé: “Ma in fondo io questa verza me la raccolgo domani e mi ci faccio una bella minestra“, e se ne va a dare il verderame ai pomodori, cercando di non pensare a nulla perché le è entrata la paura di star diventando mezza tocca. E però quella sera i vicini osservano incuriositi la donnina piccina piccina dire le sue orazioni e versare le sue lacrime e spargere i suoi baci giù nell’orto, addosso ad una bella verza.

Al mattino seguente, di nuovo la vocina prega la donnina di non strappar la pianta, cresciuta un bel po’ nel frattempo; e di nuovo la donnina trova una scusa per lasciarla ancora lì, in mezzo ai radicchi che cominciano a buttare. E la sera baci e lacrime, e la mattina non le basta il cuore di disubbidire alla vocina, e la storia va avanti un po’, finché un giorno la vocina dice semplicemente: “Eccomi, sono pronta!” La donnina comincia a tagliare la verza, che nel frattempo è cresciuta che pare un baobab, e con tanta fatica e tanto sudore riesce a caricarla sulla carriola quando scopre che tra le radici nodose sta nascosto, rannicchiato e con il pollicione in bocca, un bellissimo pargoletto. La donnina non ci vuole credere, e piange e sviene dalla gioia, finché, ripresasi dalla sorpresa, se lo porta in casa e comincia a preparagli una cameretta piena di fiocchetti. “Ti chiamerai daGabrino, che non è un bel nome, ma ti ha portato un cavolo, e questa grazia non può avermela fatta altro che l’Arcangelo daGabriele“.

daGabrino passò i primi dieci anni della sua vita a mangiare polenta e a farsi forte. Più polenta mangiava e più era contento, più era contento e più rideva, più rideva e più gli veniva fame, e insomma, l’avrete capito anche voi, più gli veniva fame e più polenta mangiava. Tanto che a dieci anni era già un bell’omone, grosso e contento. Aiutava nell’orto e badava anche alle bestie, senza perdere il buonumore una sola ora della sua vita. Con gli studi se la cavava un po’ meno bene, e la donnina piccina piccina stava ormai perdendo la speranza di vederlo un giorno geometra sistemato in Comune, così decise di parlargli: “daGabrino bello mio, ormai sei grandicello” disse la pia donna guardando di sotto in su questo suo figliuolo forse un po’ troppo cresciuto. “Hai mica pensato a cosa vuoi fare nella tua vita?“. “Mammina cara” rispose l’altro prendendosela in braccio, “ci penso ormai da molto tempo, e se è vero quanto voi mi dite, e non ho motivo di dubitarne, se davvero sono nato all’ombra di un broccolo, beh allora mi par evidente che io sia il personaggio di una qualche fiaba, e che dover mio sarebbe quello di prendere il cammino per il mondo alla ricerca di avventure“.

La donnina piccina piccina versò qualche lacrima, ma era in cuor suo sollevata di veder finalmente uscire da quella casina piccina quel figlione enorme che appena si muoveva rompeva qualcosa. Poi, giusto per rispettare la tradizione, cominciò a preparargli il fagotto con le poche cose che occorreva portarsi appresso: un cambio di mutande, una scatola di formaggini, un libro di orazioni e una immagine di San daGabriele che fosse mai gli concedesse un po’ di protezione. Quindi daGabrino sollevò da terra la mammina, si fece stampare un bacio in fronte, e se ne andò tutto contento. Vedendolo sparire oltre il recinto dell’orto, alla donnina venne da urlargli un: “E non passare dal bosco che se ti incontri il lupo son guai!“, ma si trattenne. Il problema, caso mai, sarebbe stato del lupo, e questi non erano affari suoi. Tra l’altro c’era da andare a cavare le patate e si stava facendo tardi.

Cammina cammina, a daGabrino non succede nulla. O meglio, gli sta montando un discreto appetito, che ben presto diventa una fame esagerata. Cammina cammina ancora un po’, visto che per il momento è tutto tranquillo, daGabrino si siede all’ombra di un pero; cava fuori dal fagotto la scatola di formaggini, la guarda con un sospiro perché davvero sarà dura ripigliar forze con tanto poco, e non ti spunta fuori da non sai dove un nanetto dall’aspetto ripugnante? Che ovviamente gli dice: “Ciao. Ho tanta fame. Non avresti qualcosa da darmi da mangiare?“. daGabrino si sente dentro una gran voglia di mandarlo via a pedate, ma memore  di essere un personaggio in cerca della propria fiaba, allunga al nanetto uno dei suoi preziosi formaggini. Il nano lo divora e subito pianta i suoi orribili occhietti in quelli di daGabrino. Con un nuovo sospiro, questi gli molla un altro formaggino. E quindi un altro, e un altro, e un altro finché non rimane proprio nulla. daGabrino vorrebbe tanto piangere, ma trattiene dietro le palpebre i grossi lacrimoni, nella speranza di una qualche ricompensa che deve certamente arrivare. Il nano lo squadra intero e gli dice: “Mica c’hai mille lire, che devo fare il biglietto del treno? No? Beh, ci si vede” e sparisce così com’era comparso. daGabrino si gratta per un po’ la testa, si sente leggermente defraudato, e visto che per oggi non si mangia, si butta a dormire.

E gli è che a daGabrino cominciano a girare un po’ le palle, che tutto ciò che nelle fiabe succede con naturalezza a lui gli va in un altro verso. Toh, passa un rospo, daGabrino lesto lo piglia e gli scocca un bacio in bocca. Il rospo spicca un balzo e sparisce in acqua, mentre a daGabrino gli viene un herpes orribile sul labbro. Un’altra volta trova lì in terra una vecchia lampada: “Tentar non nuoce” pensa, e comincia a sfregarla: del Genio neanche l’ombra, ne esce solo una cimice che lascia lì la sua puzzetta e se ne va. Per quanto si sforzi di ricordare, non gli viene in mente nessun racconto in cui le cose vadano come a lui. Da che mondo è mondo, i personaggi delle fiabe dopo un po’ di cammina cammina incontrano sempre qualche vecchietto, o fatina, o eremita che gli cambia il destino, o almeno arrivano a bussare al portone di un castello in cui vengono accolti da un re gentile con giusto una figliola in età da prender marito. A daGabrino, cammina cammina, non succede niente. Finché un giorno…

[continua…]

sì, signor agente

16 agosto 2009

valigiaSì, signor agente, lei ha ragione, c’era una valigia piena di cocaina sul sedile posteriore della macchina.

No, signor agente, non si tratta della mia macchina.

Vede, l’ho rubata, signor agente. L’ho dovuta rubare. Non sapevo come trasportare il corpo. La morta voglio dire.

Ah, non avete ancora guardato nel bagagliaio? Ecco, ci troverete una signora morta.

Sì, certo signor agente, ma mi lasci spiegare. No, non la conosco direttamente. Da viva, voglio dire.

O meglio, io me l’aspettavo viva. Io l’ho comprata viva, pensavo di averla comprata viva, e me l’hanno consegnata già morta e incompleta. Quando vedrà i resti capirà; immagino che si tratti di traffico di organi umani. O forse pornografia infantile…

Io, signor agente? No, io non traffico in organi umani. L’avevo comprata in Macedonia, pensavo di rivenderla in Spagna, sa, ho degli amici che gestiscono dei localini notturni da quelle parti…

No, ma quale sfruttamento della prostituzione, le ragazze sono libere, pagano solo un fisso e una quota per ogni cliente, volevo dire amico, mi scusi. Ha ragione.

Certo, signor agente, ma cerchiamo di capirci. Io non mi dedico mica a queste cose di solito.

Di cosa mi occupo? Beh, import-export, direi, sull’asse RussiaAfrica Centrale, ma anche Sud America e Stati Uniti. Sì, armi, diamanti, cose del genere. Sì, certo, anche armamenti pasanti. Missili. Roba così.

Sì, signor agente, direi che gli affari vanno bene. D’altronde è un settore che non conosce crisi… già.

Dunque, cerchi di capire. Ecco, mi trovo con questa morta tra capo e collo nel cuore della notte, e non sapevo come fare, glielo giuro che io di solito non mi impiccio di cose così. Pensavo di portarla vicino a Lodi, dove ho un allevamento di cani da combattimento. Lei non immagina cosa spende uno per alimentare 25 pitbull di grossa taglia e maggior appetito. C’avevo ‘sta morta addosso, lei cosa avrebbe fatto? La butta via? Io ci trovavo un buon utilizzo…

No, signor agente, io non organizzo combattimenti illegali. Io allevo cani, li alleno, e quando sono belli pronti li vendo a certi amici miei di Napoli, vicino a Napoli per la precisione. Il mio è più un hobby che un lavoro vero e proprio. Gliel’ho già detto, io faccio l’import-export.

No, macché dice. Tutta gente bravissima questi napoletani, come no, con una grande passione per gli animali.

passaportoVedo che sta osservando la mia patente. Sì, lo so che è strana. È una patente bielorussa. Sì, è falsa, certamente. Me l’ha fatta Ciccillo ‘o pescatore, amico mio carissimo, uno di quei napoletani che dicevamo or ora. Le faccio vedere pure il passaporto. No, questo è vero. Lo so che la foto non mi somiglia. L’ho trovato. Come dove? In terra, dev’essere caduto a qualcuno durante la sparatoria. Dopo glielo spiego, non si agiti.

No, col terrorismo internazionale non c’entro nulla. Soprattutto con quello internazionale. Ah, internazionale nel senso di “in giro per il mondo”? Beh, allora forse un pochino c’entro. Scusi, non avevo capito.

Sì, signor agente. Noto che si sta un po’ alterando. Mi scusi, forse è meglio che tolga il disturbo. E dimentichiamoci di tutte queste storie, via, che è meglio. Per lei e per me.

Come, dove vado? Vado a casa, che è tardi, domani c’è pure lo sciopero dei tramvai, chissà che traffico e quanto ci metto ad arrivare in ufficio.

Ah, dice della morta e tutto il resto? Sì, balle ovviamente. Non ci avrà mica creduto davvero? Ma dai, non pensavo proprio…

No, ora le spiego per bene. Io lavoro in ufficio, vendo assicurazioni pleonastiche, un lavoro di merda, i colleghi non mi cagano, mia moglie manco più m’insulta, ogni tanto ho bisogno anch’io di essere ascoltato con attenzione, e così mi invento quattro cazzate, avventure mai vissute. Mi ha fatto tanto piacere poter parlare con lei, e notare l’interesse che per una volta hanno suscitato le mie parole.

Grazie davvero. Anzi, tra un attimo dovrebbe finire il suo turno, vero signor agente? E allora sa cosa le dico? Che quasi quasi mi dimentico dell’ufficio e l’accompagno a sfangare la notte da qualche parte. Conosco un localino qua a due passi, aperto fino all’alba, ci facciamo due chiacchere, un po’ di compagnia, perché scommetto che anche lei è solo, proprio come me, e si vede benissimo… ah, che l’aspettano a casa? Si figuri, allora vado. Magari un’altra volta, no? Buonanotte, signor agente.

Grazie ancora, signor agente…

notte

santo subito

30 luglio 2009

Dall’Istituto Agiografico Lombardo riceviamo e volentieri pubblichiamo:

San daGabriele da Garbagnate protomartire – Nato a Garbagnate, quartiere Quadrifoglio (come in seguito il calciatore Marco Delvecchio e uno degli Articolo 31), nell’anno mille e rotti circa, fin da fanciullo daGabriele manifestò la sua predilezione per la Santità e la Vita Contemplativa. Ricevette a soli 11 anni le stigmate (che i maligni e gli invidiosi si ostinavano a ritenere semplice sugo al pomodoro). Iniziò prestissimo a compiere ogni sorta di prodigi; volenteroso ed esuberante donava la vista ai calvi, raddrizzava la schiena ai sordi e parlava con le mucche e i pali della luce; ma la sua vera passione fu sempre la cucina, dove ben presto cominciò a fare miracoli (si diceva che fosse capace di trasformare la mozzarella in stracchino e lo stracchino in gorgonzola semplicemente ignorando la data di scadenza).

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San daGabriele non ha mai negato un sorriso a chi ne aveva bisogno

A diciott’anni, forse anche per schivare il servizio militare, daGabriele si unisce con San Cassio e San Rustico e forma un trio canoro richiestissimo in tutte le feste patronali della Brianza. Assiste alla battaglia di Legnano intento a mangiarsi un panino con la porchetta, battaglia al termine della quale esclama soddisfatto: “Bene, bene, lo sapevo che finiva così“. Parole che accrescono presso il popolo la sua già montante fama di Santo e brav’uomo. Come sempre accade, maligni ed invidiosi iniziano ben presto ad accusare daGabriele di ogni sorta di nefandezze, sino ad indurre l’ArciVescovo di Milano a convocarlo per un colloquio. In cammino verso l’ArciParrocchia, daGabry pensa a come impressionare il suo superiore con qualche miracolo dei suoi, dalla sparizione del pandorino all’imitazione del merlo maschio nella stagione degli amori. Alla fine si decide per un semplice omaggio di funghi di bosco trifolati: non piove da mesi, ma sudando intensamente una notte intera, daGabriele riesce a far spuntare tutta una cesta di finferli e anche una brisa bella grande. Il vescovo è contento, ringrazia, ma dopo la mangiata gli esce uno sfogo allergico su tutta la persona, per cui da Gabriele viene proclamato con bolla ufficiale “persona sicuramente Santa, anche se leggermente portasfiga“.

Si decide quindi a cambiare aria e si iscrive alla III o IV crociata, onde servire la Potenza del Signore massacrando montagne di infedeli. Si procura un’armatura che si dice abbia già servito nella battaglia di Roncisvalle, e che ha conficcati (purtroppo all’interno di una ginocchiera) due chiodi appartenuti alla Vera Croce, e con San Babila, un suo carissimo amico di Quarto Oggiaro, si imbarca a Cernusco sul Naviglio, diretto in Terra Santa.

Il viaggio, narrano le cronache, è pieno di avventure, di mostri marini e improvvise burrasche che il Santo placa rovesciando a mare tutto l’olio della friggitrice.

Appena toccata terra, daGabriele scambia la sua armatura (“Faceva troppo caldo!“, dirà) con duecento chili di polenta conza, e si mette al servizio del settore gastronomico della crociata. Una notte lo chiamano: il generale dell’esercito cristiano è stato tagliato a metà dalla scimitarra di un musulmano, ed ha reso l’anima al Creatore; daGabriele si fa portare i due tronconi del morto, li accosta con in mezzo una grossa fetta di bresaola, mormora “O mia bela Madunina che te brillet de luntan…” e, miracolo!, il sangue torna a scorrere, le ossa si fondono con le ossa, e il generale torna a nuova vita. I due tocchi non sono perfettamente allineati, anzi, sono proprio al contrario, ma fa lo stesso. Un miracolo non si discute.

L'ostensione delle reliquie. L'aggiunta di parmigiano sembra sia dovuta a san Rustico.

L'ostensione delle reliquie. L'aggiunta di parmigiano sembra sia dovuta a san Rustico.

Dopo mille altre avventure e miracoli alla fine San daGabriele viene catturato dagli infedeli e condannato al martirio. Viene semi-congelato e poi tagliato a fettine sottilissime, fornendo l’idea per un piatto prelibato. I resti vengono riportati in terra lombarda da San Babila e conservati nella Chiesa del Carpaccio alla Bovisa. Ogni 23 di maggio le reliquie vengono esposte ad un pubblico di fedeli adoranti che accorrono in massa per veder ripetere, anno dopo anno, il miracolo della fioritura della rucola.

Oggi San daGabriele, sicuramente uno dei santi più simpatici del caledario cattolico, è considerato protettore dei denti cariati, dei bambini sovrappeso e delle gravidanze isteriche, nonché patrono dei proprietari di Fiat Duna.

Buena Vista & Social Club

22 luglio 2009

Ciao bimbi, eccoci qua di nuovo, he he. Tutto bene come al solito, no? Bene così. Allora, dove eravamo rimasti? Ecco, volevo parlarvi un po’ della mia infanzia, dei miei primi ruggenti anni in questo mondo, ma sarà per un’altra volta; perché adesso c’ho altro da raccontare. Sapete chi mi telefona ieri pomeriggio? Ma quello lì cubano, come si chiama, bravissimo, eh, suo nonno era di Pioltello. Avrà più di cent’anni, Compay Segundo, è lui: “Vecchio Pescecane”, mi dice (così mi chiamavano quando giravo i Caraibi con Ennio Morricone). “Vecchio Pescecane, ma lo sai chi suona stasera a Cartagena? I tuoi amici, dai, Buena Vista e Social Club. Venite, che vi ho riservato 8 entrate VIPs, e lo sai che ci resta male la Buena Vista se sa che ti ho avvisato e non ti fai vedere!”. Per cui chiamo le ragazze e ci dico: “Bimbe, stasera chiudiamo il ristorante che il daGabry vi porta tutte a vedere degli amici suoi che suonano”. E così abbiamo fatto.

In sala di registrazione

In sala di registrazione: preparando il primo disco

Eh si, perché i cari vecchi Buena Vista e Social Club, non lo sanno in molti, ma praticamente li ho lanciati io, tanti tantissimi anni fa. Lei si chiamava Luigia Menotti, si guadagnava da vivere alternando la vendita del proprio corpo con l’attività di maga e cartomante. Era per questa sua veste che si era scelta il soprannome di “Buena Vista”, ed effettivamente era imbattibile nel percepire all’istante quanta grana avrebbe potuto sfilare al pollo di turno. La accompagnava, un po’ magnaccia un po’ impresario, uno del Molise, ma che da lustri non si schiodava dal Club Sociale Ferrovieri della Comasina. E da lì il nome “Social Club”. E insomma una sera a una festa, a un matrimonio, ‘sti due prendono su e cominciano a cantare e a ballare. La Buena Vista che salta di qua e di là, si dimena tutta, tira su la gonna, già corta di suo. E Social Club che imbraccia un pianoforte, e poi una chitarra, e strappa la fisarmonica a un vecchietto e non la smette di suonare e di sudare. La gente impazzisce, ballano tutti, avrei ballato anch’io ma avevo le scarpe strette, insomma un finimondo che non finisce più; e io fiuto l’affare, comincio a portarli in giro per le balere della bassa, un successone. Io, ragazzi, a quell’epoca vendevo assicurazioni tipografiche e avevo un sacco di contatti con gente anche dello spettacolo, per cui non ve la sto a menare, diciamo solo che parlo con Celentano, con Lelio Luttazzi, con la Ricordi, con la RAI tivù, e alla fine c’era questo mio amico carissimo che aveva appena aperto un negozio di dischi in Svizzera, che ci porta tutti a registrare il primo disco. E il resto è storia nota.

Ho avuto amici che sono diventati importanti...

Ho avuto amici che sono diventati importanti...

Nota fino ad un certo punto, perché forse non tutti sanno che i Buena Vista & Social Club, a Cuba, ce li ho portati io. Eh si, perché questi volevano girare il mondo, vedere cose, sai. E allora sono lì che parlo con l’Ernesto, un giovane medico argentino, bravissimo e caro amico mio, che era a Milano per fare un corso finanziato dalla regione e ci dico: “Ma tu, non stai andando a Cuba per fare la rivoluzione? Ti pigli questi due, sono allegri e simpatici, ti fai la colonna sonora della revolución, la gente è contenta e voi vincete”. E difatti poi andò così. Cambiammo il repertorio del duo, ci ispirammo ai migliori successi latinoamericani, da “Vamos a la Playa” a “Tequila“, e via. La rivoluzione la vinsero davvero; L’Ernesto si fece fare una foto che divenne famosa e lanciò una linea di posters e magliette che vende in tutto il mondo; e i miei amici decisero di rimanere lì e scrissero una canzone, “Guantanamera“, ispirata alla nostalgia per i verdi pascoli della Lomellina.

la maglietta che mi ha regalato Socila Club. Purtroppo la penna era scarica e l'autografo non si vede bene.

La maglietta che mi ha regalato Social Club. Purtroppo la penna era scarica e l'autografo non si vede bene.

Il resto sì che è storia nota: Wim Wenders, la fama tardiva, i films, i tours, i dischi, i soldi. Ma nonostante tutto ciò, come vedete, non si scordano del loro vecchio amico daGabry, e ogni volta che passano in turné in Spagna mi chiamano, come ieri sera. Che serata, ragazzi, una cosa fantastica. Intanto, appena siamo arrivati, a parte i biglietti omaggio ci hanno dato anche dei sacchetti con dentro un panino al tonno e una lattina di fanta ciascuno. Ma poi, in questo grande anfiteatro romano, che tra l’altro l’ha fatto un mio amico architetto di Chiasso, bravissimo, e le emozioni, e tutto, e poi quando ci siamo visti dopo lo spettacolo Social Club mi ha anche regalato una maglietta con scritto “I love NY“.

Uh, che mi dimenticavo, mi hanno venduto questa mattina dei funghi di mare che mi hanno detto che sono buonissimi, roba da 50 € al chilo, eh… ne assaggiamo qualcuno intanto che vi racconto di quando andavo a Varese? A presto, raga, a presto.

un italiano in Spagna

20 luglio 2009

Ciao ragazzi, com’è tutto bene? Eccome no, dai! E vai che mi presento, anche se sicuramente non ce n’è bisogno, sono daGabry, qui in Spagna mi conoscono anche come Gallarate o Garbagnate, he he, ma in passato sono stato chiamato anche “il Lupo”, “lo Sguardo”, “Eccellenza”. A Cortina, ricordo, mi chiamavano “il maestro di Thoeni”, bei tempi Cortina, bei tempi… Ah, e a Stoccarda, quando dirigevo il Reparto Sviluppo Segreto della Volksfunken, ero noto a tutti come “Mein Kampf“. Ma questa è un’altra storia…

cappelloCosa faccio? Ma è evidente, io sono un italiano in Spagna, mi occupo ovviamente del settore turistico, sapete, faccio storie, monto locali, bella vita… Ho una collezione di cappelli bellissima. Ok, ma ovviamente non sono qui per parlarvi di quello che sono o che faccio adesso, del resto mi conoscete anche troppo. In questo blog bellissimo, che tra l’altro me lo ha disegnato un mio amico designer di Lugano bravissimo, voglio invece parlarvi di momenti importanti del mio passato, ancora così avvolto del mistero. Vi parlerò della mia gioventù e insieme scopriremo i retroscena di una vita intensissima, vissuta sempre al limite.

Ciao ragazzi, vi saluto che mi si bruciano i gamberoni, a presto!